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mercoledì pagina3 dicembre 2014 2 Fare il giornalista, lo ammetto, è un lavoro meraviglioso. Anzi, spesso tra di noi ci diciamo spesso che è decisa- mente meglio fare il giornalista che lavorare. Fare il giornalista sportivo poi è una favola. Si segue per lavoro quella che è a propria grande passione. In più si fa un lavoro senza grandi pressioni: se qualcuno di noi sbaglia un titolo o addirittura sbaglia una "e" con l'accento, o una "a" con la "H" non muore nessuno. Oddio, ci sono anche i contro. Si lavora nei giorni di festa comandata, si fanno orari che impediscono la vita sociale, chi di noi ha la fortuna di fare televisione (e prima poi capita a tutti) è riconosciuto e fermato per strada da gente scono- sciuta, che solo perché riconosce un volto conosciuto pensa che siamo vec- chi a mici e ti dà a parlare quando semmai hai altro per la testa, e soprat- tutto non hai la minima percezione di chi sia il tuo interlocutore. Quando ti va male ti becchi anche qualche mala parola, ma le parole non hanno mai ucciso nessuno… Fare il giornalista è anche intrigante perché alla fine giocando con le paro- le riesci a giustificare quasi tutto quel- lo che scrivi o dici. Per cui non ci vuole molto a trovare uno spunto ori- ginale e far finta di essere un genio. Chiariamo un altro concetto: non sem- pre dire qualcosa di originale significa dire qualcosa di intelligente. A volte si può essere bravi a vedere cose che altri non hanno visto: ma la maggior parte delle volte essere originali signi- fica dire cose che altri non hanno rite- nuto degne di essere scritte. Ma veniamo a noi. Ciclicamente ogni volta che segna un attaccante che gioca poco o nulla viene fuori il genio di turno e scopre che nel rapporto gol segnati/minuti giocati questi ha una media decisamente superiore al titola- re. Il caso classico, diciamo proprio scolastico, è quello di Destro a Roma. Sono in tanti a chiedersi perché uno come lui, che segna con una facilità impressionante non trovi spazi in prima squadra stabilmente. A Roma non possono andare oltre perché il passo successivo sarebbe quello di pretendere che giochi di più al posto di Totti, ed a Roma una cosa del gene- re non si può, ovviamente. La verità è che i numeri ed il calcio non vanno molto d'accordo: gli unici numeri che davvero contano sono quelli dei punti fatti. Gli altri lasciano il tempo che trovano. Non è che Destro segna molto perché l'allenatore lo utilizza nelle gare più facili, quando deve far riposare Totti? E non è che segna molto perché entrando nell'ultima mezz'ora trova avversari stanchi? Qualcuno dirà: a noi che ce ne frega di Destro? Nulla, ma già in premessa avevo scritto che il bello del lavoro giornalistico consiste nel poter fare più o meno quello che si vuole, senza uccidere nessuno. Potrei anche aver scritto 500 parole senza senso. Ma non è così. C'è la genialata finale, che lega tutto questo papiello al Napoli. Dopo il gol di Duvan a Marassi in tanti hanno scoperto che è al secondo gol in campionato, e considerando che sin qui ha giocato poco più di cento minu- ti complessivi segna un gol ogni 58 minuti, una media da più di un gol e mezzo a partita, il che lo porterebbe, se giocasse sempre, a fare 60 gol a campionato: neanche fosse Cristiano Ronaldo. Poi si scopre che in Europa, dove ha giocato quasi sempre, e spes- so da titolare, non ha segnato mai. Tranquilli, non è un fenomeno: è molto più facile entrare e fare gol in certe situazioni, con avversari stanchi, e con i tuoi compagni alla disperata ricerca di un gol. Duvan non è un fenomeno del pallone per il gol fatto a Marassi. Sarà bene continuare a cerca- re una alternativa seria a Higuain. diario di bordo Le statistiche che non servono l ’ editorialedi superbino
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